Home Presentazione del Progetto a Bruxelles

VENTURI DANIEL

IL CUORE D’EUROPA ACCOGLIE I CALABRESI

Bruxelles. La prima volta nella capitale dell’Unione Europea, per presentare il progetto: “Ferramonti. Dal Sud Europa per non dimenticare un campo del duce”.

Relazione, riflessioni, sentimenti ed emozioni.


Sento bussare alla porta. La professoressa è venuta ad accertarsi che sia sveglio: il grande giorno è arrivato. Le rispondo che mi sto preparando (e comunque ero già sveglio da tre quarti d’ora!) e che da lì a poco scenderò per fare colazione. Scendo di fretta, anche se non c’è il reale bisogno: manca ancora mezzora alle 8:15. Non tutti sono a fare colazione. Rocco ed Andrea sono già in tenuta ufficiale. A me mancano giacca e cravatta; le metterò dopo colazione. Scambiamo solo qualche battuta sull’abbigliamento… e sul fatto che a Matteo non è ancora arrivata la valigia. Come fa senza vestiti!? Mangio poco. Saluto gli altri dicendo loro che ancora non sono pronto per la foto e scappo in camera. Abbottonare il collo della camicia è un’impresa degna di Ercole: il bottone mi scappa dalle mani! Non mi riesce neanche fare il nodo della cravatta, eppure lo so fare! Al terzo tentativo faccio un bel nodo. Appendo al collo la tessera del progetto e, indossata la giacca, mi fiondo al piano terra. Devo tornare due volte in camera visto che ho dimenticato, sia per l’emozione, sia per l’ansia di arrivare in ritardo, prima la macchina fotografica e poi il documento. Già stanno facendo le fotografie! Mi avvicino alla professoressa e mi raccomanda di non scappare di nuovo. Il fotografo ci chiama. Non so quanti scatti ha fatto: il collo della camicia mi soffoca. I taxi sono già arrivati. Entriamo in macchina velocemente: pioviggina. Ci spostiamo verso la periferia. Il tragitto sembra interminabile. La sede dell'Agenzia Esecutiva per l'istruzione, gli audiovisivi e la cultura (EACEA) è una struttura di vetro, più bassa di molti altri palazzi. In quell’edificio dobbiamo rappresentare la nostra Calabria! I taxi arrivano quasi simultaneamente. Fa freddo. Entriamo tutti insieme e scattiamo qualche foto accanto alla bandiera europea. Non so cosa stiamo aspettando. Una signora, dietro un grande bancone nell’entrata, ci osserva. Arriva quella che poi si presenterà come direttrice dell’agenzia. Sotto istruzione di questa donna ci sono distribuiti i pass adesivi. Non so dove attaccarlo! Siamo tutti con la testa ritratta per controllare se il rettangolino ha aderito bene. La direttrice ci invita a seguirla: attraversiamo un lungo corridoio sul quale si aprono numerosi uffici. Giungiamo in una saletta con un grande tavolo a ferro di cavallo. Non so dove sedermi. L’onorevole Priolo, presidente dell’Associazione fra ex Consiglieri regionali della Calabria, dice di prendere posto mantenendoci a sinistra del nostro professore. Avvicino la sedia al tavolo. Mi guardo intorno per assicurarmi di non essere l’unico emozionato in quel momento. Penso all’europarlamentare italiano che dobbiamo conoscere: ma chi è? Non c’è nessuno qui. Il presidente dell’associazione prende posto accanto alla direttrice che ci presenta il suo collega. Si alza subito per iniziare la presentazione. Sullo schermo appare la prima slide con il nome del progetto: “Ferramonti. Dal Sud Europa per non dimenticare un campo del duce”. Visibilmente addolorato, inizia scusandosi della sua inadeguatezza a svolgere quel compito: il professore Carlo Spartaco Capogreco, che ha curato la parte didattico-scientifica del progetto, è assente per un grave lutto familiare. Questa notizia ci ha molto turbato. La direttrice segue con molta attenzione l’esposizione delle finalità e dello svolgimento del progetto. Sono più attento alle sue reazioni che alla presentazione: ogni suo sorriso è un’immensa soddisfazione. Inaspettatamente arriva un uomo. L’Onorevole Pirillo di Amantea (CS) è entrato con la sua segretaria nella stanza. Ci saluta e giustifica il suo ritardo: il voto è un dovere sacro per il parlamentare! Superati i convenevoli si continua il lavoro intrapreso. Giunto alla fine dell’esposizione, l’Onorevole Priolo ci presenta alla direttrice: il mio cuore palpita nell’attesa del mio nome… Io e la professoressa ci alziamo. Le gambe sono scattate automaticamente ed è inutile da parte mia dissimulare l’emozione. Non vedo l’ora di risedermi! La direttrice, sorridendo, allunga la mia agonia dicendo di avermi visto in video nel materiale del progetto che le era stato inviato. Mi risiedo. Un breve applauso e l’onorevole riprende posto. La direttrice si alza e si complimenta per il lavoro svolto. Sono felice come un bambino che a Natale, dopo una lunga attesa, scarta il regalo contenente ciò che più desidera. Ci sono esposte la natura dell’agenzia, l’ambito in cui agisce e la modalità di assegnazione dei finanziamenti. Su quest’ultimo punto ci sono delle osservazioni da parte dell’europarlamentare e del suo ex collega. L’incontro è finito. E’ andato tutto bene. Un piccolo pezzo di Calabria, periferia d’Italia più volte ignorata e disprezzata, è stato portato a Bruxelles, in Europa! Accompagnati all’uscita ci salutiamo nuovamente e ringraziamo la direttrice che aveva chiamato dei taxi. Sono soddisfatto, felice di essere stato parte di una degna rappresentanza.

Torniamo in albergo dove viene stabilita l’ora di pranzo: dobbiamo mangiare presto perché nel pomeriggio è prevista la visita al Parlamento Europeo. Una passeggiata, degli acquisti in centro e abbiamo perso la cognizione del tempo. Il mio cellulare squilla: la professoressa! Io e Rocco siamo in ritardo! Arriviamo

di corsa all’albergo. Ansimo. Portiamo le buste in stanza e andiamo a mangiare. Il ristorante è vicino. L’arrivo degli spaghetti mi terrorizza! Non devo macchiare la camicia bianca. Non ci sono problemi del genere tranne la forchetta caduta sul vestito della ragazza di Rende. Il pranzo è lentissimo. Torniamo in albergo un po’ assonnati. I taxi arriveranno a breve. Pochi minuti nelle stanze e di nuovo fuori. Questa volta non facciamo aspettare i tassisti. Formato lo stesso gruppo della mattina saliamo sull’auto: siamo i primi. Raggiungiamo il quartiere amministrativo: alti palazzi di vetro si affacciano sulla strada. C’è un po’ di traffico, ma riusciamo ad arrivare rapidamente: siamo in largo anticipo. Sceso dal taxi e saliti gradini che ci separano dall’entrata del palazzo, durante l’attesa degli altri compagni leggo a bassa voce “Altiero Spinelli”; questo nome troneggia su una delle ali costituenti la sede del Consiglio e del Parlamento Europeo . La nostra emozione è tanta, paragonata, poi, alla quotidiana naturalezza di due addetti alla sicurezza che fumano in un angolo, riparati dal vento. Guardo l’orologio di continuo, temendo il ritardo del resto del gruppo, e rialzando lo sguardo cerco la figura della mia professoressa per rassicurami, ma vedendola emozionata almeno quanto me, ritorno a fissare, senza reale interesse, le operazioni di accettazione all’interno. Avendo percepito la mia agitazione, la professoressa si avvicina e mi fa notare il nome sulla porta chiedendomi se io sappia il perché avessero dedicato un’ala dell’edificio a quell’uomo: il nome l’ho già letto e l’associazione con il Manifesto di Ventotene è stata spontanea. In tutta sincerità non ho notato il nome dell’altro dedicatario che sovrasta la porta opposta alla nostra: “Paul-Henri Spaak” ; non lo conosco. Arrivato un secondo gruppo, decidiamo di entrare ed aspettare poco oltre la porta girevole di vetro trasparente. Fuori non ci sono più di 7°C. Dopo poco arrivano tutti e la segretaria dell’Onorevole Pirillo, conosciuta nella mattinata, si avvia verso di noi con i tesserini recanti i nostri nomi. E’ accompagnata da un ragazzo: non so chi sia e in questo momento non mi interessa neanche. I secondi sembrano interminabili mentre la segretaria scorre le tessere… “Daniel Venturi”: il cuore in gola... La ringrazio a voce troppo bassa perché mi senta e subito appunto quel pezzetto di plastica con la bandiera europea al taschino della giacca. Passati i controlli si apre davanti a noi un atrio immenso. Decine di uomini elegantemente vestiti e dotati di valigetta ci passano davanti sicuri di dove andare, mentre noi rimaniamo sempre più stupiti e spaesati ad ogni passo. Non guardo la segretaria, ma presumo di seguirla: gli altri ragazzi e tutti i professori vanno in una direzione e quindi… Proseguendo verso l’emiciclo la nostra attenzione è catturata da un’imponente scultura metallica: mi sforzo di riconoscere una figura in quell’ammasso d’acciaio. Non ci riesco. In pochi secondi abbandono tale proposito e passo a cercare un significato simbolico da attribuirgli… ma quale? Il nostro Virgilio è già davanti l’entrata della sala dell’assemblea: la vedo sussurrare agli altri qualcosa che non riesco ad afferrare. Mi affretto. Temo di perdere qualche informazione importante. Avvicinatomi, dalla porta trasparente è visibile l’immensa aula: questa prospettiva dura poco; già la segretaria ci invita a fare silenzio (come se proprio in questo frangente abbiamo la voglia o il tempo di parlare) e a prendere posto. Il senso di inadeguatezza mi opprime. “Italiano numero quattro”: ecco cosa dice! Il numero quattro inizia a ronzarmi in testa. Con ritmo martellante scandisco nella mia mente ogni lettera che compone queste tre parole… Varcata la soglia, automaticamente porto la mano al nodo della cravatta per aggiustarlo. Centinaia di poltrone nere si susseguono dietro ordini semicircolari di banchi di legno chiaro, rivolti tutti verso un palco centrale. Non conosco gli uomini che hanno l’onore smisurato di presiedere la seduta: li invidio immensamente; lo spettacolo visto da quel lato deve essere ancor più stupefacente! Trovo posto all’ultima fila. Penso di sprofondare nella poltrona. Chiudo un attimo gli occhi…. li riapro. Una voce calda riempie la sala traducendo in inglese l’intervento di quello che poi mi sarà detto essere il professor Mario Monti, illustre economista italiano. Avvicino le mani alle cuffie davanti a me con cautela, come se potessi romperle, sfiorandole soltanto… Un’enorme soddisfazione! Ancora non ho fatto aderire i padiglioni dello strumento alle mie orecchie e una lingua incomprensibile mi riempie la testa. Penso subito al numero quattro. Nel piccolo display alla mia sinistra seleziono il numero che mi ha tanto ossessionato: il terrore di dimenticarlo è passato. Ora i suoni prodotti dagli auricolari sono chiarissimi. Nei pochi interventi ai quali assistiamo, gli europarlamentari espongono le loro tesi, argomentandole, riguardo il potenziamento di un mercato unico e la preservazione delle economie nazionali. La discussione suscita in me la consapevolezza di quanto l’economia abbia un andamento ciclico: penso subito al Colbertismo. Ci sono riuscito. L’ansia è passata. Sono felice di essere qui e poi… chissà se un giorno un posto di quelli… ma scaccio subito la fantasia: che sciocchezza! Conto più volte le bandiere che pendono sulla testa del presidente della seduta. Sbaglio il conto visto che non raggiungo mai il numero 27. L’eurodeputato calabrese, conosciuto nella mattinata, entra, ci saluta in silenzio e prende anche lui posto poco davanti a me. Non passano cinque minuti che vedo tutti alzarsi: escono. Lascio anch’io il mio posto e, prima di attraversare la porta, volgo un ultimo sguardo all’emiciclo come quando si esce da una chiesa, ma senza fare il segno della croce. Sono tutti vicini alla balaustra che dà su quei tubi intrecciati che formano la scultura. La segretaria ci spiega che rappresenta l’integrazione: ogni elemento si incastra all’altro in modo armonioso. E’ la trasposizione visiva del motto dell’Unione Europea: “in varietate concordia”. La nostra visita continua nella commissione salute che poi la segretaria ci dirà essere stata accorpata ad altre. Si discute sui farmaci per le malattie rare: non capisco bene… La nostra ultima tappa è l’ufficio del nostro ospite al quindicesimo piano. La stanza comunicante con la segreteria è piccola e non riusciamo ad entrare tutti. Fa un caldo soffocante. Distribuitici i gadget del partito da una ragazza che ci è venuta incontro poco prima e dal ragazzo che ci ha accolto all’entrata, usciamo dalla segreteria. Incominciamo una lunga camminata verso l’esterno. Penso a quanto possa essere bello lavorare lì: quest’idea mi sembra meno idiota di quella sorta nell’emiciclo. Dopo non so quanto raggiungiamo il grande atrio dove ci sono i metal detector. Dobbiamo lasciare le tessere. Non voglio! Ma l’onorevole Pirillo ha già pensato a dire a quelli della sicurezza che dovremo tornare. Piccola bugia per non restituirle. Ci stringe la mano dicendoci di tenere il pass per ricordo e ci saluta. Lo stesso fanno i suo dipendenti. La nostra visita è finita: lasciamo questa sede arricchiti, consapevoli di avere una cittadinanza europea oltre che italiana. La stazione dei taxi è vicino l’uscita. Nell’auto penso a tutto quello che abbiamo visto e sorrido delle sensazioni che ho provato oltre quella porta girevole. Penso a quanto la nostra Calabria sia ignorata dai suoi stessi abitanti: il ragazzo e la ragazza che ci hanno accompagnati nella visita erano calabresi; lui pensava che Ferramonti fosse un albergo! Dopo una breve sosta in hotel per cambiarci (non ce la faccio proprio più a stare vestito in questo modo) ci aspetta una bella passeggiata nella Grand Place: ce l’abbiamo fatta!


 

Daniel Venturi

Lamezia Terme, 14 Novembre 2010